Negli anni ’80 viene elaborato un modello chiamato minority stress (Brooks, 1981), una
forma di stress sociale che vivono gay e lesbiche “come risultante dall’inferiorità culturalmente stabilita e sanzionata dal gruppo dominante, dal suo impatto sul benessere psicologico e dal successivo adattamento”*.
Una ricerca condotta da Hatzenbuehler et al. (2010) ha dimostrato che per le persone LGB, vivere negli Stati che hanno approvato leggi discriminatorie e in cui è diffuso il pregiudizio omofobico (come gli emendamenti che bandiscono il matrimonio fra partner dello stesso sesso), costituisce un fattore di rischio per la morbilità psichiatrica. In particolar modo, è stato rilevato che in questi Stati risulta quanto mai evidente un significativo incremento dei disturbi dell’umore (aumento del 36,6%), del disturbo d’ansia generalizzato (aumento del 248,2%), dei disordini da dipendenza per abuso di sostanze alcoliche (aumento del 41,9%) ed un aumento generale della comorbilità psichiatrica pari al 36,3%.
Anche Margherita Graglia (2012), psicologa-psicoterapeuta didatta di CIS (Centro Italiano di sessuologia) e FISS (Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica), opera una descrizione abbastanza esaustiva degli effetti dell’omofobia sociale sulle persone LGB:
l’intrusione di significati pre-costituiti: gli stereotipi sull’identità e sui comportamenti non eterosessuali forniscono delle chiavi di lettura su come si presuppone possa essere il mondo LGB. Come naturale conseguenza, si assiste alla formazione di rappresentazioni sociali (erronee) molto potenti, veicolate dai media e dal linguaggio e che vengono assimilate dagli individui omosessuali in maniera inconsapevole, come il pregiudizio omofobico.
Le invalidazioni e gli ostacoli all’autostima: il pregiudizio influenza l’immagine di sé. Le immagini socioculturali delle identità, dei comportamenti e delle comunità LGB sono perlopiù connotate negativamente. Ne consegue un inevitabile svilimento di tutto ciò che non è “eterosessuale”; una conseguenza pratica di tutto ciò potrebbe essere vista, ad esempio, nel mancato riconoscimento giuridico delle unioni LGB. Un altro effetto dell’omonegatività, che incide sull’ autostima, è l’isolamento e l’emarginazione che le persone omosessuali sono costrette a subire in virtù della loro appartenenza ad un gruppo minoritario.
La minaccia al senso di sicurezza: la percezione di essere diversi può elicitare la sensazione di non essere al sicuro rispetto alle valutazioni e alle reazioni negative degli altri. La pervasività degli atteggiamenti antiomosessuali determina, di riflesso, la sensazione di essere sottoposti ad una costante minaccia da parte degli altri. L’anticipazione del rifiuto: nelle interazioni quotidiane gay e lesbiche si chiedono spesso quale effetto avrà sugli altri il loro orientamento sessuale. La sensazione e il timore di non essere benvoluti si genera ed è nutrita principalmente dall’assunzione di eterosessualità, dalle rappresentazioni negative dell’omosessualità e dal silenzio sociale.
Celare il proprio orientamento sessuale.
Il monitoraggio del comportamento: in virtù dello stigma e della discriminazione, le persone LGB tendono a controllare tutti quei comportamenti che potrebbero rappresentare segnali rivelatori del proprio orientamento sessuale. Il controllo, in tal senso, è una modalità di coping che tuttavia contribuisce allo sviluppo e al mantenimento dell’ansia.
Lo stress dello svelamento: la maggior parte delle persone gay e lesbiche non è dichiarata in molti campi della propria vita (famiglia, lavoro, amici etc). Lo svelamento non è infatti uno stato discreto ma attraversa tutto l’arco di vita del soggetto. Essendo un evento potenzialmente critico, le persone trascorrono molto tempo chiedendosi se, come, quando e con chi fare coming out: in sostanza, questo fenomeno pone la persona in un costante stato di tensione.
Tendenzialmente, infatti, per un gay o per una lesbica svelare il proprio orientamento sessuale, significherebbe correre il rischio concreto di essere respinti dalla famiglia, di avere problemi con il lavoro, di essere esposti a stigmatizzazione e discriminazione, abusi verbali e atti di violenza anche fisica (D’Augelli, 1998; D’Augelli & Grossman, 2001). Tuttavia, come dimostrato in diversi studi e a riconferma delle intuizioni di Margherita Graglia, dichiarare apertamente il proprio orientamento sessuale può incidere positivamente sul benessere psicologico della persona stessa (Bell & Weinberg, 1978; Malyon, 1982; Zuckerman, 1997). Per finire, risulta doveroso comprendere e definire in maniera chiara e condivisa quali siano le responsabilità professionali degli psicologi, di tutti i professionisti della salute e delle istituzioni più in generale, riguardo al proprio ruolo nella costruzione psicosociale del pregiudizio omofobico e delle conseguenze per l’esistenza del singolo e dell’intera comunità LGBT.
*Margherita Graglia, Psicoterapia e Omosessualità, Carocci (2012).